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Aperitivo letterario: Vincenzo Cecchini e Marina Andruccioli

Durante il secondo incontro letterario Vincenzo Cecchini e Marina Andruccioli hanno dialogato uno in poesia e l’altra in prosa, «due diversi modi di suonare la stessa musica» ha detto Marina.

Il 3 dicembre 2011 Anna Sanchi, Assessore alla cultura di Cattolica, ha presentato il secondo incontro di Aperitivo letterario presso la Biblioteca comunale. Sanchi ha svelato al pubblico una terza musa coltivata da Vincenzo Cecchini: «Vincenzo grande artista, poeta, pittore – e anche cantante. È un fatto inedito: trenta anni fa col maestro Fiorenza era con noi nel Coro polifonico Città di Cattolica. Ho un bellissimo ricordo di lui mentre cantava al mio matrimonio.»

Vincenzo Cecchini, nato a Cattolica nel 1934, artista di rilievo nazionale legato alle avanguardie artistiche, alla continua ricerca della sperimentazione sui materiali, la cui imprevedibile cifra pittorica ha spaziato tra molteplici esperienze artistiche tra cui l’astrattismo, la pittura analitica e quella aniconica, il monocromo, oggi riparte con un ciclo pittorico denso di immagini evocative di trasparenze cattolichine per creare nuove suggestioni per la gente che ama e che dà vita alla sua arte e all’altra musa coltivata dal maestro: la poesia dialettale.

Durante l’incontro letterario ha letto poesie in dialetto cattolichino tratte dall’antologia centossessantasette poesie (La Grafica, 2004). La sua poesia più che un mezzo è un’arma per viaggiare nel tempo, nello spazio, nei misteri della vita da cui non si lascia né angosciare né sopraffare ma che lui domina con la forza della lingua madre, il dialetto cattolichino che un po’ stravolge e un po’ ricrea, come gli è proprio ed usuale. La creazione di nuove dimensioni è la molla ispiratrice e padrona della sua arte e vita. Il ritmo del vernacolo rinvia al battito cardiaco, ai suoni ancestrali, rassicuranti, immediatamente comprensibili anche da chi poco conosce quella lingua: sono il ritmo e l’andamento che favoriscono il processo empatico di percezione della visione del mondo del poeta.

Cecchini rassicura, rasserena, dona perle di umanità e saggezza che scavano nel profondo dell’animo umano, dando al mistero che lo affascina una veste musicale che addolcisce le paure come lettura del quotidiano, quell’accidente che ci capita di incontrare e che dobbiamo abbracciare senza paure perché la vita è poesia, arte e bellezza.  Cercando il bello attorno a noi non possiamo che trovarlo in ogni esperienza ed in ogni angolo della nostra città a partire da quel mare che ci culla, ci ricopre di luce, di suoni ed odori e fa da cassa di risonanza ai nostri sentimenti come la campana il cui squillo si fonde con la risacca dell’onda.

Garben: Quand l’è garben/ i è l’eria/ che t’entra ti oc.// La t’impines la testa.// Li nuvle li cur/ e la foia/ la s’arugla par tera.// L’è al rispir dal Signor/ cum met in crisi.

Garbino.  Quando è garbino | c’è l’aria | che ti entra negli occhi. || Ti riempie la testa. || Le nuvole corrono | e la foglia | si arrotola in terra. || È il respiro del Signore | che mi mette in crisi.

Marina Andruccioli ha presentato letture tratte dal suo secondo libro, La lista dei sogni  la cui protagonista è una quarantenne che scopre di essere malata. “Le persone malate – scrive Marina – reagiscono in due modi: o il cervello si rifiuta di pensare, e allora tutto diventa bianco, incolore, insapore, senza emozioni. Compresa la vita. Oppure tutto è colore a tinte forti, tutto rimbomba vigoroso, i pensieri rimbalzano poderosi sull’anima ferita e amplificano le paure, le domande rincorrono le angosce in un gioco di specchi. E’ così per tutti quelli che lottano contro una malattia? Non lo so. E’ stato così per me.

Un giorno sei sano e nuoti a stile libero come un pesce che si fa strada tra la corrente della vita, un minuto dopo sei un’alga senza spina dorsale che viene trascinata dall’impeto della notizia della tua malattia“.

La sua è una scrittura lieve, accompagna il lettore nei pensieri e nei sentimenti dell’autrice, nelle sue esperienze di vita quotidiana, esperienze e pensieri che riguardano i grandi temi della vita e Marina li affronta tutti: le grandi scelte, il viaggio, l’amore, la ricerca dell’anima gemella, la paura, il tempo, il ricordo ed il confronto con la madre, la malattia, la morte, la fede.

Il messaggio della Andruccioli riporta la sua vita o quella del vicino della porta accanto su sentieri comuni all’umanità da sempre in cerca di risposte: le risposte di Marina viaggiano sui binari della speranza arricchita dalla fede, compagna discreta ma irrinunciabile, e da un sano ottimismo che ha trovato vigore e fondamento in una frase di Asimov letta in gioventù: “la mia massima soddisfazione è prendere qualcosa di ragionevolmente intricato e renderlo chiaro passo dopo passo”. Scrivere per gli altri, dare ai lettori la sua interpretazione del mondo è oggi la concretizzazione di questa massima, uno dei sogni della lista realizzato.

Marina Andruccioli, La lista dei sogni (Albatros Il Filo, Viterbo, 2011)

Vincenzo Cecchini, centossessantasette poesie (La Grafica, 2004)

Pubblicato su La Piazza n° 16, gennaio 2012

Aperitivo letterario, dialoghi tra poesia e prosa

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Progetto le voci della poesia

Il 18 febbraio con l’artista Vincenzo Cecchini si è concluso il ciclo di incontri legati al “Progetto le voci della poesia”, cui hanno partecipato anche le poetesse Annalisa Teodorani e Maria Teresa Codovilli, organizzato dalla Biblioteca Comunale di Cattolica in collaborazione con la Scuola Media “Emilio Filippini”.

Gli studenti hanno partecipato al progetto con entusiasmo ed hanno rivolto al poeta Cecchini, che scrive in dialetto cattolichino, domande ed osservazioni interessanti ed inaspettatamente profonde.

Tuttavia nel nostro meravigliarsi di adulti circa la profondità del pensiero dei giovani troppo spesso soffia il vento del luogo comune che associa l’adolescenza e la giovinezza all’immaturità, ed è proprio questo luogo comune che ci fa sorprendere vieppiù della loro capacità di esprimere sentimenti e concetti filosofici cui spesso gli adulti non sanno rispondere.

È a queste difficili risposte che la poesia offre uno strumento per la comprensione della realtà: attraverso le voci della poesia si riesce a far vibrare i sentimenti che con le emozioni diventano la chiave di comprensione del mondo e dei suoi misteri.

Le classi 2a D e 2a E, seguite rispettivamente dagli insegnanti Laura Bandoni e Giancarlo Messina, hanno posto domande all’artista e poeta Cecchini sui temi riguardanti la vita del poeta; sul valore della scuola e dell’impegno nello studio; hanno esposto osservazioni sulla paura, sul tempo ed altri argomenti cui il poeta ha risposto mantenendo vivo l’interesse dei presenti. Di seguito vi propongo alcuni di questi interventi.

Come si diventa poeti, è difficile la vita di un poeta?

Se hai un pensiero, un’aspirazione che ti gira nella testa anche nei sogni, la devi seguire come accade nella poesia La streda tla testa.

La scuola serve? serve studiare?

Non serve studiare, andate a lavorare: gli intellettuali hanno bisogno di gente che lavora perché gli intellettuali non devono lavorare! Risponde ridendo Cecchini e continua dicendo: «Ho insegnato per molti anni e ho visto che se ci sono buoni maestri che amano il loro lavoro ed i ragazzi che sono loro affidati, sì, altrimenti diventa più difficile per gli studenti sperimentare i propri talenti.»

Con i genitori e gli insegnanti è difficile esprimersi per i giovani, che più facilmente trovano sostegno nella complicità degli amici, e quando non si capisce cosa accade intorno le ragazze si aiutano anche scrivendo nei diari – ricorda Cecchini – e riconosce alle ragazze, che chiama sempre donne, il coraggio di cambiare la loro vita, di voltare pagina con decisione e cuore franco se non lieto, con una risata, così come fa la protagonista della poesia Parché la è scapa.

È difficile scegliere la propria strada? Qualcosa di nuovo avviene se si va controcorrente, come descritto nella poesia La streda, se senti che ti si ripresenta sempre lo stesso desiderio, la stessa opportunità, va che devi andare! Se non ci sono ostacoli da superare non si progredisce: più difficoltà, più felicità…

Alla domanda sulla paura, evocata dalla poesia La chesa dla paura che rinvia ai giochi pericolosi dei maschi nel dopoguerra, quando in una casa bombardata i maschi trovarono proiettili di mitra di cui si riempirono le tasche e le zaganelie che poi avevano fatto accendere e sibilare tra le gambe dei passanti, Cecchini risponde che sì, avevano paura, ma il desiderio di gioco era più forte della paura e la sfida del pericolo faceva parte della vita quotidiana ed era il modo per crescere.

C’erano ai suoi tempi (Cecchini è nato nel 1934) pochi giochi tranquilli per i maschi, le femmine stavano in casa ma lui non ha mai saputo cosa facessero.

Cecchini ha poi descritto i giochi della tradizione: la fionda, la lippa, la palla di neve che fecero rotolare per tutte le strade di Cattolica, fino a farla diventare una valanga spinta da una ventina di ragazzi. Non c’erano i giochi elettronici che appiattiscono i costumi ed assorbono la curiosità dei giovani nell’esplorazione di un mondo virtuale.

Parallelo o finto? Si potrebbe aggiungere.

Alcune ragazze osservano che nelle poesie di Cecchini le cose inanimate diventano personaggi come nella poesia I fiori i perla.

Cecchini osserva che i fiori gioiscono al sole allietati dal volo delle farfalle e delle api, fremono e tacciono quando si avvicina il pericolo: la mano pronta a reciderli. Ma durante La festa d’i fiur sono gli unici a godersi la giornata piovosa che invece infastidisce i venditori e gli acquirenti.

Qual’è la libertà e la verità? Quella che si desume mettendo a confronto le cose che non si capiscono, le assurdità, i comportamenti incoerenti, come avviene in Incontre; in questo modo ci si avvicina alla verità che fa brillare la cosa giusta, indicandoci l’atteggiamento rispettoso e corretto da tenere, quello che tacita le ansie e ci rende sicuro il passo, come una passeggiata sulla spiaggia.

Cos’è l’ora ferma? È l’ora in cui c’è una sospensione del tempo, in cui tutto sembra fermarsi e ci si aspetta che nulla possa ricominciare. È anche l’ora in cui il mare ed il cielo hanno gli stessi colori: quando si cammina i colori ti vengono incontro, all’alba il cielo ed il mare hanno il colore del guscio delle vongole, madreperla. I colori entrano nella testa anche con i suoni. Il suono che arriva nella poesia I è un’ora è il suono di una campana. In A camen «A camen drenta una cochila d’una poracia e sent e son d’una campana», suoni e colori che fanno pensare ad una carezza, all’idea di dolcezza, colore, suono ove tutto si armonizza. È un’ora in cui lo stato d’animo si associa alle cose e gioca con queste.

Un’ora ferma viene descritta anche nella poesia Aspettando l’estate… Ci sono delle ore nella giornata che sono meno vivaci, altre – per esempio sulla spiaggia tra le dieci e le dodici – dove chi è andato a preparare il pranzo, lascia la spiaggia vuota.: l’ora è ferma perché, tutto intorno sta aspettando l’esplosione il miracolo dell’estate. il tempo rallenta fino a fermare i ritmi rumorosi dell’estate. È il miracolo economico che si attende l’albergatore ma soprattutto il miracolo che attende il poeta.

Qual’è il momento del sogno più particolare? È il dormiveglia, in cui si ha la coscienza del risveglio, momento in cui il meccanismo dell’universo si scopre nel momento orfico in cui la realtà c’è e non c’è – interviene l’insegnante Giancarlo Messina ricordando che vi è stato un certo dibattito sull’argomento.

Cecchini dice che è un attimo particolare, uno dei momenti più adatti a capire il passaggio dall’insensibile al sensibile, dall’ora del tramonto all’alba, e, da pittore qual è, lo paragona allo sfumato leonardesco.

Perché i poeti parlano della morte? La morte esiste già in tutte le persone quando nascono, la religione dice che è un passaggio verso la felicità… La nostra società ha il terrore della morte…

Iniziative lodevoli come questa vanno supportate ed incentivate in quanto si propongono di educare alla comprensione della poesia, ancora troppo emarginata alla fruizione di pochi amatori e specialisti e per questo considerata l’arte “poverella”, definizione cui va contrapposta quella di Ars poetica ritenuta nell’antichità come un organismo vivente veicolatore di significati, l’arte conoscitiva con funzione liberatoria in quanto rivelatrice di verità nascoste, un’arte che educa l’immaginazione, supporto della ragione, nella misura in cui affina le capacità analitiche e critiche del pensiero attraverso l’associazione di idee, rendendo – come dice l’artista e poeta Cecchini – l’uomo libero di pensare e di esercitare le capacità critiche.

(Riassunto pubblicato su La Piazza, giornale di Cattolica, anno 14, n 3)

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